Tesi di laurea di Antonio Casamento
Corso di laurea in Scienze e tecniche dell’interculturalità
Facoltà di Lettere e Filosofia
Università: Università degli Studi di Trieste
Relatore: Prof. Ana Cecilia Prenz
L’idea della tesi comincia a maturare dopo l’esperienza Erasmus (2002-2003, Università di Murcia) e, in particolare, dopo aver seguito i corsi di Narrativa del mundo hispanico di Vicente Cervera Salinas, che trattavano dettagliatamente e filologicamente il “cuento” hispanoamericano del XIX e XX secolo.
Il materiale bibliografico è stato reperito fra le Università di Murcia, Trieste e Rouen. La tesi affronta, attraverso l’analisi testuale e il supporto bibliografico degli specialisti, la figura di Horacio in Argentina, nel secolo del Romanticismo. Gli scrittori della Asociación de Mayo (Eccheverría, Sarmiento, Alberdi, etc.), contrariamente a ciò che fanno molti loro colleghi europei, a partire dai romantici tedeschi, non esaltano la terra, le peculiarità dello spazio sterminato e selvaggio del territorio americano. Domingo Faustino Sarmiento, autore del Facundo, contrappone la “civilización” della città alla “barbarie” dei “gauchos”, di un mondo primitivo che resiste all’avanzata trionfante del progresso. I naturalisti, seguendo alla lettera i modelli europei alla Zola, ma spesso in modo schematico, vengono etichettati come regionalisti. Il modernismo, al contrario, la più grande corrente poetica latinoamericana fino ad allora, ha carattere cosmopolita. I suoi esponenti di punta, come Rubén Darío, Leopoldo Lugones e, a Cuba, José Martí, celebrano il culto dell’arte e della bellezza ispirandosi, con risultati straordinari, ai simbolisti francesi e al Parnasse.
Quiroga, che si forma su scrittori europei (Baudelaire, Maupassant, Kipling, Melville Baudelaire, Dostoievski, etc.) o nordamericani (Poe, e forse Lovecraft), ma ammira Rubén Darío e, soprattutto, Leopoldo Lugones, una volta spogliatosi dell’abito modernista, compierà un’operazione fondamentale nelle lettere ispanoamericane, cercando di coniugare conflitti di carattere universale in uno spazio particolare, tipicamente americano. La lotta dell’uomo solo contro la natura, il sentimento dell’esilio o la paura della morte, si radicano in uno spazio preciso: la selva di Misiones.
Precursore, rispetto agli autori del cosiddetto “Siglo de Oro de la literatura hispanoamericana”, egli comprende che la letteratura sudamericana può essere veramente grande solo prendendo coscienza della diversità geografica e del mestizaje culturale del Nuovo Continente. Nella Misiones di Quiroga possiamo già scorgere la Macondo di Gabriel García Márquez, la Santa María di Juan Carlos Onetti o la Cómala di Juan Rulfo. La vita di Quiroga, come dimostrano le numerose bibliografie scritte su di lui (da Delgado e Brignole, a Martínez Estrada a Orgambide) non ha nulla da invidiare, quanto a intensità, ai suoi racconti. La spirale di morte che lo circonda è impressionante. Suo padre morí in un incidente di caccia, quando egli aveva appena due mesi. Il suo patrigno, a cui era molto affezionato, si suicida con un colpo di fucile, dopo essere rimasto paralitico a causa di un’emorragia cerebrale; preme il grilletto con il dito del piede. Uccide, per errore, l’amico Francisco Ferrando, facendo partire accidentalmente un colpo da un’arma che doveva servire per un duello. La sua prima moglie, Ana María Cirés, si toglie la vita con il cianuro. Scoprendo di essere ammalato di cancro, egli stesso si uccide con il cianuro. Gli amici Alfonsina Storni e Leopoldo Lugones, cosí come i figli Eglé e Darío, commetteranno anche loro il tragico gesto.
Non è da stupirsi che l’ossessione della morte sia onnipresente nei racconti di Quiroga, dapprima secondo gli schemi fantastici dei racconti di Poe e Maupassant e dell’estetica modernista, quindi secondo la parola dura e scarna del realismo dei racconti della selva. Il momento chiave della svolta biografica e artistica di Quiroga è il viaggio del 1903, in cui accompagna l’amico Lugones in una spedizione che ha come meta le rovine gesuitiche di Misiones.
La scoperta della selva è folgorante per Quiroga. Lo scrittore, impregnato di modernismo e cultura europea, che aveva da poco abbandonato Montevideo per Buenos Aires, abbandona le sue manie da dandy. Si isola in una selva al confine fra Paraguay, Brasile e Argentina, abitata da una mescolanza etnica in cui è ancora presente un sostrato tupi-guaraní, lontano dalla raffinata civiltà urbana. La tesi, senza trascurare gli aspetti biografici, si concentra però prevalentemente sull’analisi dei testi, contenuti nelle raccolte Cuentos de amor locura y muerte (1917), El salvaje (1920), Anaconda (1921), El desierto (1924), Los desterrados (1926) e Más Allá (1935).
Il materiale dei libri citati è spesso eterogeneo, se si eccettua la raccolta Los desterrados. Qui l’elemento fantastico scompare completamente e la selva diventa protagonista assoluta. Senza concessioni al linguaggio raffinato del modernismo, la parola diventa aspra e dura come la vita a Misiones, mentre lo stile, di un realismo secco e crudo, si adegua alla realtà descritta. Tuttavia, le iperboliche imprese di certi personaggi, la fantasia dei nomi e la loro follia esagerata, introducono un elemento trasfigurante, che anticipa, in un certo senso, lo real maravilloso del secolo XX (v. Márquez, Carpentier, ma anche Arguedas, etc.). Altri capitoli della tesi mettono in risalto la posizione particolare di Quiroga. Infatti se Eccheverría, con il suo Matadero, è considerato il padre del cuento ispanoamericano, e Roa Barcena il primo “cuentista” del fantastico in Ispanoamerica, Quiroga è il primo a teorizzare sul racconto (cfr.il Décalogo del perfecto cuentista), così come aveva fatto Edgar Allan Poe negli Stati Uniti (cfr. A theory of a short story). Inoltre, come abbiamo già detto, Quiroga descrive la lotta dell’uomo contro la natura, dal punto di vista dell’uomo che si scontra contro i pericoli smisurati della selva. L’inversione del punto di vista, cioè la focalizzazione del narratore sul mondo animale e naturale, crea una certa ambiguità in quanto l’uomo, da essere debole che muore per il semplice morso di una vipera (cfr. Alla deriva), diventa l’essere distruttore che devasta la selva, terribile e inarrestabile. L’influenza di Kipling è forte, ma a differenza dello scrittore inglese l’uomo di Quiroga non ha, come Mowgli nella foresta indiana, una missione civilizzatrice. Egli distrugge ed è a sua volta distrutto, secondo le leggi del ciclo naturale, ma non acquista mai connotati eroici.
Fra modernismo e realismo, fra realtà e fantastico, fra l’esuberante eleganza del dandy e la rude attitudine del colono, Quiroga è un uomo e uno scrittore complesso, che stupisce per la sua vita stravagante e per gli esiti della sua scrittura. Ma soprattutto, è il “perfecto cuentista” che, torcendo il collo al cigno modernista, ha distolto lo sguardo dall’azzurro del cielo verso cui guardavano Darío e altri scrittori dell’epoca e ha ripreso il contatto con la terra.
Note biografiche sull’autore
Dopo la laurea, e un breve periodo di insegnamento di Lingua e letteratura spagnola alla English International School di Padova, è attualmente impegnato come lettore d’italiano “vacataire” in Francia, presso l’Università Stendhal Grenoble3, dove è al primo anno di Dottorato in Lingue romanze. Lavora attualmente sulla letteratura comparata, con particolare attenzione al XIX e al XX secolo e ai Paesi di lingua italiana, francese e spagnola.Tra i suoi articoli, in attesa di pubblicazione, “Lo spazio marginale”, dagli atti del Convegno tenutosi il 2-3 aprile all’Università Stendhal Grenoble3.
Per contattare l’autore: antonio.casamento [at] hotmail.fr