L'apertura internazionale del Cile dal 1990 al 2015

Tesi di laurea di Alberto Mazzuca
Corso di laurea triennale in Relazioni internazionali
Facoltà di Scienze politiche
Università degli studi di Roma Tre
Relatore: Prof. Maria Rosaria Stabili
Correlatore: Prof. Valerio Gatta
Anno accademico: 2015 - 2016

La Repubblica del Cile è oggi uno fra i Paesi più ricchi dell’America Latina. Il sistema politico e istituzionale gode di buona stabilità, il Pil pro capite in Ppa (Parità di potere d’acquisto) supera i ventimila dollari annui e a partire dall’anno 2009 il Paese è entrato a far parte a pieno titolo della Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), stabilendo un record all’interno del Cono Sud. Il suo indice di sviluppo umano è classificato come “molto elevato” e se nei prossimi anni il Pil procapite dovesse raggiungere il traguardo dei venticinquemila dollari, il Cile potrà essere annoverato fra i cosiddetti “Paesi sviluppati”. Tale risultato è sorprendente se si considera che nel 1990 il Pil procapite era di poco superiore ai quattromila dollari. Per confronto il Brasile, uno dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), passa negli stessi anni da 6.622 a 15.893 dollari.
Il Cile è fra i Paesi con più accordi commerciali al mondo, possiede venticinque accordi vigenti con sessantaquattro Paesi che racchiudono il 64,1% della popolazione mondiale e costituiscono l’86,3% del Pil mondiale. Nel 2015 il 93,5% delle esportazioni cilene e oltre il 91% delle importazioni sono state realizzate in mercati regolati da accordi commerciali. La nazione è integrata nelle nuove dinamiche economiche globali: è stata la prima del Cono Sud a entrare nel foro Apec (Cooperazione economica asiatico-pacifica), il 40% delle esportazioni nazionali si dirigono oggi in Asia e il primo partner commerciale del Paese è la Repubblica popolare cinese, davanti a Stati Uniti e Unione Europea. La recente firma a chiusura dei negoziati per il mega accordo regionale Tpp (Trans pacific partnership) dimostra che la politica del Paese punta ancora sul libero commercio. È quest’ultimo la chiave di volta del successo internazionale cileno?
A partire dal 1990 il Paese ritorna alla democrazia e gli sforzi della classe politica sono diretti a rompere l’isolamento internazionale degli anni della dittatura, agendo sul piano politico e diplomatico. Il Paese ha assunto un nuovo atteggiamento partecipe e di dialogo nell’ambito regionale e mondiale. I governi cileni hanno ambito a cogliere le opportunità offerte dal nuovo contesto internazionale apertosi dopo la guerra fredda, ricercando un inserimento efficace nella globalizzazione e nel nuovo assetto geopolitico mondiale. Le scelte strategiche compiute in tema di integrazione, hanno mostrato un cammino unico fra le nazioni del Cono Sud. È il ritorno alla democrazia il motore dell’integrazione regionale cilena?
Il lavoro di tesi studia la politica di apertura internazionale della Repubblica del Cile, privilegiando gli aspetti dell’integrazione e del commercio. L'obiettivo è quindi quello di offrire una possibile ricostruzione storica e politica della strategia cilena di apertura o inserimento internazionale dal 1990 al 2015. Al tentativo di ricostruzione di questa strategia si affianca quello di valutare se essa sia cambiata nel tempo. Il contesto internazionale e quello regionale ricoprono un ruolo importante in questa analisi perché hanno influenzato le scelte della politica estera del Paese.
Nel corso della ricerca ho individuato tre periodi della strategia cilena di apertura internazionale e li ho suddivisi in tre parti o capitoli.
Il primo capitolo ha un arco temporale di dieci anni e analizza gli anni Novanta del XX secolo. Ha alcuni tratti introduttivi e, pertanto, su alcuni temi si riallaccia all’epoca della dittatura di Pinochet. Viene descritto il contesto internazionale e il nuovo ordine mondiale costituitosi una volta conclusa la guerra fredda e viene sottolineata l'importanza che i diritti umani e la democrazia hanno avuto nella regione latinoamericana a partire dagli anni Ottanta. Sono esposte brevemente le tappe principali della transizione democratica cilena e si prosegue con la descrizione della politica estera dei governi di Patricio Aylwin e di Eduardo Frei Ruiz-Tagle. Il capitolo si conclude analizzando la nuova strategia di apertura internazionale, prende in esame integrazione e commercio ed evidenzia continuità e rotture con le politiche della dittatura.
Il secondo capitolo abbraccia anch’esso un arco temporale di dieci anni e considera la prima decade del nuovo millennio. In esso viene tratteggiata la nuova tendenza regionale dell’emergere delle sinistre al potere e sono approfonditi i caratteri principali della politica estera dei governi di Ricardo Lagos e Michelle Bachelet. Con questo capitolo si conclude l’analisi del primo ventennio democratico post dittatura, periodo che ha visto alla guida del Paese quattro governi di centro-sinistra appartenenti alla coalizione Concertación de partidos por la democracia o Concertazione. Vengono, inoltre, analizzate la politica commerciale e di integrazione
internazionale che caratterizzano la seconda fase della strategia di apertura del Paese. Il terzo e ultimo capitolo affronta un lasso temporale di soli cinque anni. Apre con una breve presentazione delle tendenze attuali delle relazioni economiche internazionali e delle sfide che si presentano per il Cile e la regione. Si sofferma sulla politica estera del presidente Sebastián Piñera e i primi due anni del secondo governo Bachelet. Vengono, infine, descritti i successi e i limiti della strategia di apertura degli ultimi venticinque anni e gli attuali sviluppi in tema di integrazione e commercio.
La ricerca, che considera la politica estera, il commercio e l’integrazione, mette in luce una strategia promossa dal Cile post dittatura di inserimento internazionale multiplo, basata su tre pilastri fondamentali: multilateralismo, apertura economica e commerciale, regionalismo aperto. Questa strategia è perdurata durante tutti i governi successivi alla dittatura, dando prova di una politica di Stato e non dei singoli governi. I governi democratici hanno gestito la strategia di inserimento internazionale con la consapevolezza che da essa dipendeva lo sviluppo nazionale. La politica estera è stata quindi una diplomazia dello sviluppo che ha goduto del consenso della classe politica e anche della società civile.
Se è vero che la strategia di apertura internazionale ha avuto complessivamente un esito positivo, nonostante gli evidenti limiti dell’attuale modello esportatore, per il futuro la classe politica dovrà rivedere alcuni aspetti del proprio modello di sviluppo concedendo in primis maggiore attenzione alla società cilena. Fra i limiti e le debolezze della strategia di apertura e sviluppo ci sono diversi problemi di tipo sociale: le grandi sfide che il Paese sta affrontando e le principali minacce al proprio sviluppo sono soprattutto di ordine interno.

Note biografiche sull’autore
Alberto Mazzuca è laureato in Storia e in Scienze politiche presso l'Università di Roma Tre e si è specializzato sui temi del commercio internazionale e dello sviluppo all’Università di Tor Vergata (Roma) e presso l’Universidad de Chile (Santiago).

Per contattare l’autore:
albertomazzucait [at] gmail.com

Alberto Mazzuca

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